lle pazienti in menopausa operate per carcinoma mammario con recettori ormonali positivi, allo scopo di ridurre le probabilità di recidiva, viene spesso prescritta una terapia con farmaci che bloccano l’aromatasi, enzima in grado di trasformare sostanze ormonali non estrogeniche in estrogeni. Questi ormoni stimolano le cellule tumorali a crescere. e, nonostante la loro produzione da parte delle ovaie sia in menopausa praticamente nulla, una certa quantità rimane tuttavia presente nell’organismo per l’azione dell’aromatasi che si trova concentrata soprattutto nel fegato e nel tessuto adiposo.
I farmaci che ne bloccano l’attività dell’aromatasi determinano quindi la riduzione della quantità di estrogeni in circolo e, di conseguenza, la quantità di ormoni che possono raggiungere eventuali cellule tumorali.residue. Se da un lato l’efficacia clinica degli inibitori dell’aromatasi è ampiamente dimostrata, dall’altro, come avviene per molti farmaci, anche questi possono presentare alcuni effetti collaterali. Fra i più frequenti e spesso severi sono dolori articolari e osteoporosi.
I dolori articolari colpiscono il 20-50% delle pazienti, variano da donna a donna, più spesso sono simmetrici (alle mani, ai polsi, alle ginocchia) e compaiono da 2 a 10 mesi dall’inizio delle terapie. La causa alla base dei dolori sembra essere mutifattoriale, ma gioca un ruolo di primo piano il calo degli estrogeni: sembra infatti che bassi livelli di questi ormoni possano favorire uno stato infiammatorio a livello articolare.
In caso l’entità del dolore sia tale da condizionare la qualità di vita delle paziente come primo approccio può rivelarsi utile la sostituzione del farmaco con un altro composto sempre appartenente alla stessa categoria. Qualora questo non risulti sufficiente una consulenza reumatologica permetterà di valutare meglio le cause del dolore e le prospettive che possono esserci per controllarlo con terapie farmacologiche e anche non farmacologiche. L’approccio farmacologico deve essere sequenziale e adattarsi all’intensità del dolore, questa viene quantificata con apposite scale di valutazione. I farmaci cui si può ricorrere sono i FANS, gli analgesici, i cortisonici e la vitamina D. I FANS svolgono attività analgesica e antinfiammatoria, la risposta a questi farmaci è però individuale e varia da paziente a paziente, così come diversi sono gli affetti avversi.
Gli analgesici invece agiscono sul dolore ma non sull’infiammazione e la scelta del farmaco varia in base all’entità del dolore (dolore lieve, farmaci non oppioidi; dolore moderato, oppioidi deboli; dolore intenso, oppioidi maggiori). I cortisonici vanno prescritti con attenzione, anche per gli effetti collaterali a lungo termine. La vitamina D infine, è di certo importante per le ossa, ma i risultati in merito ai suoi effetti sul dolore sono contrastanti.
Rientrano nella terapia non farmacologica l’esercizio fisico, l’agopuntura e le tecniche di rilassamento. L’attività fisica è certamente importante, anche perché secondo alcuni studi libera citochine antinfiammatorie con conseguente riduzione del dolore.
Raccomandiamo almeno 150 minuti di attività fisica a settimana e consigliamo, per esempio, di camminare a passo veloce. Abbiamo poi risultati incoraggianti sull’agopuntura, ma non siamo in possesso di dati certi e dunque occorreranno nuovi studi.
Osteoporosi: la terapia con inibitori dell’aromatasi espone le donne ad aumentato riassorbimento osseo e perdita ossea. L’osteoporosi è caratterizzata da una modifica alla struttura dell’osso con conseguente fragilità e maggior rischio di fratture; le più frequenti sono quelle a carico della colonna, del femore e del polso. L’80% delle fratture nei pazienti con osteoporosi derivano da traumi minori come rifare il letto, prendere in braccio un bambino, portare le borse della spesa, e vengono chiamate fratture da fragilità o fratture da stress.
In questi pazienti è fondamentale migliorare la qualità dell’osso, evitando le fratture e impedendo fratture successive alla prima. Si è visto, per esempio, che in presenza di una frattura vertebrale vi è un rischio maggiore di fratture vertebrali successive.
È importante, accanto alla terapia, curare lo stile di vita dedicandosi a una regolare attività fisica (utilissimo è camminare), prevenendo il rischio di cadute ed evitando movimenti scorretti, soprattutto a carico della colonna”,